Analizziamo questo sistema di valutazione dei cibi molto discusso.
È balzato agli onori della cronaca per vicende politiche qualche giorno fa e ora anche qua in Italia si inizia a parlare di Nutri Score. Che cos’è nello specifico? Quali caratteristiche ha? Che vantaggi o svantaggi ne possiamo trarre noi consumatori? È davvero un attacco europeo ai cibi del Made in Italy? Scopriamo questo ed altro in questo articolo.
Il NUTRISCORE è un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari sviluppato in Francia che cerca di semplificare l’identificazione dei valori nutrizionali usando due scale di valutazione. Una cromatica in 5 gradazioni che va dal verde al rosso e una alfabetica che va dalla lettera A alla lettera E. L’idea nasce con l’obiettivo di semplificare appunto la lettura della tabella nutrizionale e aiutare il consumatore nella scelta dei cibi in base alle proprie esigenze.
Secondo il Ministero della Sanità francese, questo sistema dovrebbe permettere un più facile accesso ai cibi confezionati "sani", contribuire alla "lotta all'aumento delle malattie cardiovascolari, l'obesità ed il diabete”. Seguendo questa etichettatura i cibi catalogati con il colore verde e la lettera A sarebbero “molto sani” mentre quelli indicati con il colore rosso e la lettera E “sarebbero molto dannosi”. Ad ogni prodotto viene assegnato un colore (e la lettera corrispondente) in base al contenuto di zuccheri, grassi saturi, sale e calorie (da limitare) e di fibre, frutta, frutta secca e verdura, e proteine (positivi).
Diversi paesi europei lo adottano, viene utilizzato dal 2017 in Francia, l’Olanda di recente ha deciso di adottarlo ma prima di adeguarlo alle linee guida del paese. La decisione di adottare Nutri-Score da parte di Nestlé ha scatenato le prime polemiche in Italia, con Coldiretti e Codacons che hanno bollato come "ingannevole e sbagliata" questa etichetta. Si sono sollevate molte polemiche su questo sistema che è stato indicato come un attacco ai prodotti alimentari del Made in Italy da politici anche di spicco del panorama italiano. Andiamolo allora a valutare cercando di capire i pro e i contro e i vantaggi/svantaggi che ne potremmo ricavare.
L’idea di partenza non è male, ovvero quella di aiutare il consumatore a districarsi nella miriade di scritte, elenchi e indicazioni presenti sui vari prodotti alimentari. Dopotutto un aiuto può sempre fare comodo, a patto che non si trasformi in una indicazione ricevuta e recepita passivamente dal consumatore stesso. La rappresentazione semaforica però rischia di amplificare e giustificare una tendenza alla pigrizia mentale che già è ben presente a livello sociale, basti pensare alle fake news e alla pigrizia di andare a cercare le fonti prendendo per buona qualsiasi cosa sentita in giro.
Inoltre perché qualcuno dovrebbe decidere per noi? Non siamo in grado di decidere per noi stessi? Credo che sarebbe più utile incentivare la lettura delle etichette e aiutare nella comprensione delle tabelle nutrizionali, piuttosto che bollare gli alimenti come giusti o sbagliati. Visto che l’alimentazione riveste un ruolo importante nella giornata di ognuno di noi, sarebbe opportuno aumentare il livello culturale riguardo la conoscenza degli alimenti e degli ingredienti che li compongono.
Un altro limite di questo tipo di classificazione e etichettatura è il fatto che vengano presi in esame, ai fini del giudizio di un alimento, sempre 100g come porzione. Voi consumate i cibi 100g alla volta? Vengono dimenticate in questo modo sia le porzioni di riferimento che le frequenze di consumo consigliate per i vari cibi, aspetti che nella nutrizione sono a dir poco fondamentali per valutare le abitudini di un soggetto.
Prendiamo per esempio l’olio extravergine di oliva. Alimento tipico della nostra alimentazione e della dieta mediterranea, dalle numerose proprietà ormai dimostrate scientificamente, sarebbe bollato come poco sano proprio perché preso in esame su una porzione di 100g. Ma la porzione di olio di sicuro non è quella e questo discorso potrebbe essere fatto con altri alimenti tra cui il nostro amato Parmigiano, che a causa del contenuto di sale su 100g non rientra nella categoria di cibi sani. Viceversa sarebbero molto sani cibi industriali, trattati chimicamente o fisicamente per eliminare per esempio zuccheri o grassi.
Quindi grande spazio a “formaggi light” e cibi edulcorati con il rischio di avere sulla nostra tavola cibi sempre più “modificati” pur di riuscire a farli rientrare nella categoria di “cibi buoni” (es. salse pronte, prodotti surgelati ecc.). Questo creerebbe un divario enorme sulle valutazioni di cibi tradizionali che hanno determinate ricette immodificabili (vedi ad esempio crudo di Parma, olio, Parmigiano ecc) rispetto a prodotti industriali creati ad hoc in laboratorio per il mercato industriale.
E questo non ha nulla a che fare con la Francia, l’Italia o la Germania. Con buona pace di alcuni politici. Non è un attacco al cibo Italiano. È un attacco al consumatore. Ci perdiamo noi consumatori, perdiamo la curiosità e la capacità di valutare, di capire che possiamo mangiare bene anche senza semafori. Dobbiamo staccarci da quella mentalità legata al cibo sano e non sano. Dobbiamo ricordarci come diceva Totò che “è la somma che fa il totale” e che non esistono cibi curativi o cibi dannosi a prescindere.
Infatti l’equilibrio alimentare e nutrizionale va ricercato in giorni/settimane e non nel singolo prodotto. L’alimentazione va giudicata nel suo insieme e in base alle esigenze del singolo individuo. Per questo un cibo non indicato per qualcuno, potrebbe essere buono per qualcun altro e viceversa. Questo sistema rischia di trasformarsi in una semplificazione estrema nel mondo del bene o del male, in una classificazione degli alimenti bollati come alimenti buoni e alimenti cattivi.
E se non fosse chiaro, non esistono alimenti buoni o alimenti cattivi.
Esistono buone abitudini e buoni stili di vita oppure cattive abitudini e stili di vita. E non sarà di certo un semaforo sulla confezione a farvi cambiare.